Tempo di lavoro e tempo di vita. Incontro preparatorio e sintesi del Quaderno di Via Dogana “Il doppio sì”

Lunedì 14 febbraio 2001 alle ore 17.30 presso la sede della CGIL, piazza del Commercio 8, Orvieto Scalo (di fronte alla Coop) si svolgerà un incontro aperto sul tema del lavoro insieme a Maria Rita Paggio, responsabile della Camera del Lavoro di Orvieto, e ad alcune delegate sindacali.
Punti di riferimento per il nostro dialogo sono i documenti pubblicati dalla Libreria delle donne di Milano “Il doppio sì” e il manifesto “Immagina che il lavoro”.

Ci incontriamo per confrontare le nostre esperienze e le nostre opinioni su un problema che investe così prepotentemente le nostre vite, in vista dell’incontro con alcune donne della Libreria di Milano (19 febbraio, ore 17.00, alla Sala del Carmine), che pongono l’urgenza di una nuova e diversa progettualità di lavoro e di vita.

Di seguito alcuni punti di sintesi del Quaderno di Via Dogana “Il doppio sì”.

Il doppio sì

Nell’ottobre del 2006 arriva alla “stanza lavoro” della libreria una mail di una donna separata con figlia piccola, dipendente di una grande azienda che chiede aiuto perché non le viene concesso il part-time a sei ore. Da qui l’idea di raccogliere, tra gennaio e novembre 2007, i racconti di 26 donne, ventitré dipendenti e tre autonome, oltre alle opinioni di sindacaliste e menager delle risorse umane.

Due gli obiettivi:

  1. seguire il metodo della narrazione, che la Libreria utilizza da oltre trent’anni, per scovare storie di donne che fossero riuscite a proseguire un’attività di livello medio alto pur riducendo l’orario di lavoro.
  2. dare sostegno alla battaglia politica per un diritto al part-time del genitore che ne faccia richiesta, diritto che già esiste in alcuni paesi europei come Germania e Olanda.

All’interno del Gruppo lavoro si sono sviluppate anche posizioni diverse in alcuni casi legate anche alla differenza generazionale, tuttavia viene riconosciuto alle più adulte del gruppo di avere svolto un lavoro di ascolto e confronto a sostegno delle più giovani, contribuendo a saldare una frattura tra generazioni di donne, più volte evidenziata.

Il lavoro ha portato ad alcuni risultati condivisi:

  1. il lavoro femminile non va considerato come una questione a sé. Le donne ormai sono protagoniste del lavoro di produzione e riproduzione, quindi il lavoro delle donne va considerato lavoro tout court;
  2. la posta in gioco è più ampia di quella paritaria, non si tratta di dividere il lavoro a metà, ma di ridefinire il come e il perché del lavoro umano;
  3. il femminismo, al di là di aborto e fecondazione assistita, deve riportare sulla scena politica la maternità reale come rappresentazione, come senso come espressione di libertà femminile insieme al resto;
  4. il conflitto tra i sessi sulla divisione del lavoro produttivo e riproduttivo si sta spostando dal terreno familiare e interpersonale a quello dell’organizzazione complessiva del lavoro;
  5. urgenza di rompere l’isolamento, creando luoghi e gruppi, dentro e fuori gli ambienti di lavoro in cui uomini e donne si possano confrontare.

Il libro è nato dal desiderio di un gruppo di lavoro e dalla volontà propulsiva di Maria Benvenuti, la quale mette in evidenza come il discorso femminista e in particolare il pensiero della differenza sessuale, che sembravano oggi avere perso senso, abbiano rivelato la loro validità, quando, giovane donna, è entrata in azienda e ancor di più dopo l’esperienza della maternità. Da ciò la scoperta di alcuni elementi importanti:

la “misura unica” del lavoro all’interno della quale le donne devono stare, essendo ormai definite anch’esse in primo luogo come lavoratrici, tralasciando la sfera degli affetti e della maternità nell’identità sociale delle donne.

  • La presenza, ritenuta consistente, di donne che non vogliono più essere costrette a scegliere tra maternità e lavoro, quelle donne che sono state perciò chiamate le donne del doppio sì. Da parte di queste donne c’è la volontà di respingere le strettoie delle regole di mercato che privilegiano: l’esternalizzazione più ampia possibile del lavoro di cura, soluzione ritenuta non risolutiva dei bisogni reali specialmente per i figli più piccoli e la necessità di denaro aggiuntivo per i consumi, ma poco o nessun tempo per stare con i figli anche se lo desideri.
  • La riflessione sul fatto che in Lombardia, dove è nato il quaderno, a fronte di un numero di giovani donne occupate, oltre dell’obiettivo del 60°/° di Lisbona, si ha un numero crescente di dimissioni per maternità e un’offerta di lavoro a tempo parziale che lascia insoddisfatta la metà della domanda, mentre da alcuni anni il part-time e la flessibilità degli orari emergono dalle ricerche come i fattori principali di una buona conciliazione lavoro-famiglia .
  • Il lavoro che ha portato alla stesura del quaderno è stato svolto nella consapevolezza che la differenza femminile non sta nel dato biologico della maternità, ma nel valore che le donne sanno riconoscersi reciprocamente e nella volontà di riferirsi le une alle altre nel ricercare una mediazione per stare al mondo e in questo senso è stato dato ascolto e parola alle donne che si sono impegnate in questa ricerca.

Produrre e riprodurre (Lorenza Zanuso)

Nel mondo occidentale oggi il valore del lavoro sta nelle competenze cognitive e comunicative di chi lo fa, non è sparito il lavoro manuale, ma ci sono nuove disparità fondate sull’esclusione di persone dai lavori ad alto valore cognitivo.

Oggi le donne sono presenti in questo nuovo mondo del lavoro con tassi di occupazione vicini a quelli maschili e con livelli di istruzione mediamente più alti. Non è più adeguato parlare del lavoro femminile come “questione” di un gruppo marginalizzato, le donne vogliono interrogare la società intera circa la regolazione e la valorizzazione non del ” lavoro femminile”, ma del lavoro, tout court. Bisogna porre in evidenza l’aspetto del doppio sapere, non solo dello svantaggio, nel fatto che le donne svolgono molte ore di lavoro familiare non retribuito, che ha caratteristiche di imprenditività e creatività. Molti economisti cominciano a fare delle stime rispetto al PIL di queste ore di lavoro, a cui sarà necessario dare il giusto peso e valore, perché anche confrontandosi con altre società complesse attuali, si evince che c’è una quota di lavoro familiare che è incomprimibile oltre una certa soglia, pur migliorando beni e servizi pubblici e privati, inoltre si è rivelato non desiderabile l’eliminazione completa del lavoro familiare, se non si vuole scadere in utopie totalitarie novecentesche o in versioni liberiste altrettanto feroci.

Le donne del doppio sì ricercano il modo di esercitare il loro sapere attivo, come volontà di stare nel mondo alle proprie condizioni, sanando l’insensata cesura tra la voglia e l’ambizione di conoscere e trasformare il mondo, e il piacere e la volontà di prendersene cura. C’è lo sforzo di trovare una prospettiva diversa rispetto all’ideologia della parità che ha elaborato politiche di pari opportunità e di conciliazione tra famiglia e lavoro, che sorvolano sulla diversità dei corpi, dei desideri e delle visioni del mondo di uomini e donne, i quali si oppongono tenacemente a una prospettiva indifferenziata.

Attualmente manca, oltre ai servizi, l’idea di una organizzazione del lavoro più duttile , che tenga conto del fatto che stanno cambiando i modelli di lavoro e che tenga conto che nella vita delle persone esiste anche il lavoro di riproduzione.

Il modello mentale di lavoro che informa discorsi e aspettative è ancora oggi il modello fordista: tempo pieno uguale per tutti, uniforme e continuativo nell’arco della vita (il posto), nei compiti (la mansione), nella scala gerarchica (la carriera). Questo modello che dura da meno di cent’anni non ha mai coinvolto e tuttora non riguarda la maggioranza della popolazione femminile e ha rappresentato comunque una gabbia per le donne. Dagli anni ’90 si è inceppato il processo di inclusione delle donne nel lavoro garantito e si è poi aperta la fase attuale della pluralizzazione e della precarizzazione delle forme di lavoro. Le donne sono ormai oltre la metà degli occupati nei lavori superiori al livello impiegatizio, ma lo sono sempre più in posizioni atipiche.

Senza disconoscere i feroci processi di selezione che tuttora tendono a premiare chi assicura massima disponibilità temporale, front-time, si ritiene che il riferimento alla precarietà come parola chiave per riassumere la posizione di molte donne mette sotto silenzio la crescente qualificazione del lavoro femminile, le differenze tra tipi di lavori non standard; appiattisce la domanda di lavoratrici diverse in un’unica rivendicazione di continuità e sicurezza del contratto di impiego e non dà titolo a negoziare altri nodi del lavoro retribuito come i tempi di lavoro e i suoi criteri di valorizzazione, monetari e non. Molte donne oggi vogliono lavorare a lungo e bene, vogliono risultati e riconoscimenti, ma non desiderano per sé un modello di partecipazione uniforme, a pieno tempo e per tutta la vita e nello stesso posto e luogo di lavoro. E’ in corso una forzatura dei confini, con esiti incerti e rischiosi, ma le donne che erano la metà del cielo oggi sono anche la metà del capitale umano in circolazione e questo non può essere ignorato da nessuna economia e da nessuna forma di welfare.

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