Sul laboratorio “Piccole donne ritornano”. Un taglio di capelli

di Giulia Parrano

“Non strillare… stai ferma”, diceva la nonna quando con poco garbo affondava il pettine d’osso nel folto intrico dei miei capelli, che ricci e sottili si annodavano facilmente. Certo è che io, ribellandomi alle tirate, la innervosivo e in quella guerra disputata a suon di pettinate, dopo ogni battaglia, lei ripeteva irritata il solito ritornello: capelli rossi… i capelli del diavolo; mentre io, alle sue spalle, le rifacevo il verso.
Finché un giorno mi trovai, recalcitrante, seduta sulla sedia di un parrucchiere. E una donna con un paio di forbici in mano, bionda con gli occhi ridenti e chiari, mi prendeva delicatamente una ciocca per volta e sembrava dispiaciuta di tagliare quei ricci ribelli color rame; mentre mia madre la incalzava alle spalle: “Alla maschietta! Devono essere tagliati alla maschietta”. E alla maschietta li ho portati fino all’adolescenza, quando finalmente potevo decidere io, e non li ho più tagliati.

Ma sono di nuovo sulla poltrona di un parrucchiere, le forbici tagliano via lunghe ciocche bianche, che vedo cadere leggere sul pavimento; il rame nell’alchimia della vita si è mutato in bianco, le lotte, le passioni, le scelte sono ancora vicine, eppure… eppure… già lontane. Mi guardo allo specchio, i capelli, di nuovo corti, sono ribelli come allora. E all’improvviso, chissà come, quei riccioli bianchi sbarazzini e annodati mi riportano indietro, nei lunghi pomeriggi estivi, quando sotto il fico, nel giardino assetato, divoravo avida le pagine di Piccole donne. Ma era Jo quella che amavo: impulsiva e coraggiosa, con quel suo amore per la letteratura e la determinazione a scrivere, e… quella sua generosità… i suoi bei capelli tagliati e venduti per aiutare qualcuno, chi? Non lo ricordo più. La promessa di Jo alla scrittura, la sentivo mia. Certo, l’avevo giurato a me stessa, sotto il fico, tenendo il libro aperto, appoggiato sul cuore. Ma poi… la vita mi aveva sbalzata via, portata lontano dal giardino.

Il cancello si apre a fatica, cigolando sui cardini arrugginiti. Mi siedo sotto il fico, sulla panchina che è solo una grande pietra: il fico, unico sopravvissuto, nel giardino abbandonato e inselvatichito. E lì quella vecchia promessa, rimasta nel cuore, preme ancora. Preme con urgenza. E allora… allora ci avrei provato. Avrei tentato di scrivere.

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