Rita Majerotti, una militante scomoda

di Ornella Cioni

In occasione dell’8 marzo vogliamo rendere omaggio alla figura di Lucia Motti, sindacalista, docente e storica delle donne, scomparsa il 1° dicembre del 2020 attraverso la rilettura di un libro da lei curato, che ci dà modo di ricordare anche un’altra donna: Rita Majerotti, maestra e militante politica con una profonda coscienza della condizione delle donne.
Il testo Rita Majerotti. Il romanzo di una maestra, a cura di Lucia Motti, 1995, ripropone lo scritto autobiografico che era stato pubblicato a puntate, col titolo di Pagine di vita, su “La Difesa delle Lavoratrici” tra il 1913 e il 1915 e alcuni scritti politici della Majerotti.
In Il romanzo di una maestra l’autrice, con una prosa semplice ma toccante rievoca solo la prima parte della sua vita con la sfortunata esperienza del suo matrimonio e le sue difficoltà di madre. Precedono il testo l’introduzione metodologica della Motti e due saggi, uno di Maria Teresa Sega e uno di Maria Antonietta Serci, che ricostruiscono un quadro completo della vicenda biografica e politica di questa donna, animata da un’indomabile volontà di educatrice e militante.

Rita Majerotti nasce a Castelfranco veneto nel 1876, il padre insegnante, la madre di origine nobile e cinque tra fratelli e sorelle. Nell’ambiente veneto rigidamente cattolico Rita riceve un’educazione laica impregnata di valori etici e ideali di libertà dal padre, già volontario garibaldino a Mentana, ma per quanto riguarda la consapevolezza e la morale sessuale riceve la classica educazione riservata in quegli anni alle ragazze. Rita sviluppa un carattere “indomito e ribelle”, stimolata allo studio dal padre si diploma a diciotto anni. Spinta dalle necessità economiche della famiglia parte per il suo primo incarico di maestra lontano da casa, del tutto sprovveduta rispetto alla vita. L’incontro con la sessualità e la scoperta del suo stesso desiderio la colgono impreparata, come avviene per tante ragazze del suo tempo e, come lei stessa racconta, senza sapere come rimane incinta. La maternità e il precoce matrimonio infrangono i suoi sogni di ragazza, che la proiettavano verso il suo futuro professionale con entusiasmo, e dovrà intraprendere un sofferto percorso di ricerca di sé per approdare a un’identità nuova. Rita Majerotti partirà dal ripensare la propria storia per elaborare una riflessione sulla sessualità e i rapporti tra i sessi in cui stigmatizzerà l’assoluta ignoranza della sessualità in cui venivano tenute le ragazze, ignoranza che le lasciava del tutto indifese contro “quella belva che è l’uomo bramoso” e volge anche alle madri una critica e un’esortazione a proteggere le figlie non nascondendo loro il vero. Nel corso dell’Ottocento il tema dei rapporti tra i sessi è di grande attualità e su questi temi si pronunciano sia donne cattoliche come Antonietta Giacomelli che socialiste come Mozzoni, Kuliscioff e la socialista svedese Ellen Key, cui si ispira Majerotti.

Intanto Rita per necessità economiche riprenderà il suo ruolo di maestra, vissuto in modo conflittuale col suo ruolo di madre, perché dovrà separarsi dai figli ed affidarli a “mani inesperte” di povere donne. Ma man mano che matura la coscienza politica e l’autonomia dal marito, col quale arriverà presto a una separazione, il suo ruolo di maestra verrà vissuto come possibilità di nuova identità sociale e impegno attivo per combattere le ingiustizie che vede intorno a sé. Comincia la sua dura vita di maestra rurale che la porterà in destinazioni scomode e lontane, in quelle condizioni precarie e difficili che ha fatto delle maestre del nuovo regno d’Italia delle vere e proprie pioniere. Per un compenso inferiore a quello dei colleghi maschi erano costrette a volte ad affrontare anche l’opposizione di popolazioni contadine, ostili a donne in possesso di strumenti culturali e portatrici di modelli di vita cittadini.
Rita Majerotti si avvicinerà sempre più al pensiero e alla militanza socialista e si impegnerà a scrivere nella stampa socialista rivolgendosi soprattutto alle donne. Nei suoi scritti e nei suoi discorsi pubblici tornano spesso i temi dell’emancipazione, dell’educazione femminile e del suffragio con accenti vicini a quelli delle emancipazioniste che rivendicano pari diritti sociali, civili, ma riaffermano anche una differenza femminile, che anziché costituire un disvalore, rappresenta un contributo al progresso della società umana. Negli anni della guerra di Libia (1911-1913) assume una posizione pacifista come pure in prossimità della guerra mondiale, intanto si è avvicinata all’ala rivoluzionaria nella polemica che contrappone socialisti rivoluzionari e riformisti.

Queste sue posizioni, insieme a una estrema coerenza d’idee, al carattere indomito e alla sua stessa figura di donna che sa servirsi della parola e della penna per difenderle le creano presto intorno inimicizie e rancori sia tra i compagni che nel luogo di lavoro e diventa spesso oggetto di ostilità e anche di diffamazioni. Comincerà il suo destino fatto di peregrinazioni, che dapprima la porteranno da Mantova a Bari, e di provvedimenti disciplinari come maestra. Quando giunge a Bari Rita ha già una lunga militanza nel Partito socialista ed esperienza nelle battaglie pacifiste e per i diritti delle donne. Negli anni della guerra continuerà nel territorio pugliese il lavoro di organizzazione territoriale del Partito Socialista e una ostinata propaganda contro la guerra. Nei mesi del ’19 sarà impegnata nella serrata battaglia all’interno del partito a favore della costituenda fazione bordighista astensionista contro quanti sono favorevoli alle elezioni. Negli anni ‘20 sarà impegnata in prima linea nelle lotte che lacerano il partito tra riformisti e fazione comunista, che culmineranno nel gennaio del ‘21 con la scissione di Livorno.
Majerotti passerà subito al nuovo partito, nel quale guida il gruppo femminile per la provincia di Bari e sarà con Ortensia di Meo l’unica donna dirigente nazionale non torinese.
Sono anni molto duri per Rita quelli dello scontro all’interno del Partito, durante il quale si cercherà di discreditarla anche sul piano personale, fino alle velate minacce. Indomita e mai arresa risponderà con verve polemica e puntuale cercando di non cadere mai nella calunnia e restando rispettosa dell’avversario politico. Nel frattempo Rita dovrà subire una serie di persecuzioni dalle autorità comunali e dal Provveditorato agli studi con una lunga serie di provvedimenti disciplinari, fino al licenziamento che getterà lei e i suoi figli in una situazione di grave precarietà. Sarà il modo in cui il regime fascista cercherà di annientarla per le vie burocratiche, dopo che nel ’22 era riuscita a salvarsi da una aggressione punitiva di un centinaio di fascisti armati calandosi da una finestra della sua casa, episodio che avrà gravi conseguenze anche sulla sua salute.

Complessa è tutta la seguente vicenda biografica e politica. Nel partito verrà gradualmente emarginata per le sue posizioni definite “trotzkiste”, ma resterà sempre pronta a lavorare per organizzare la lotta appena le circostanze glielo permetteranno. Dal ’29 alla caduta del fascismo le notizie su di lei sono scarse, ma la troviamo di nuovo attiva dopo il 25 luglio ‘43 nel lavoro politico di riorganizzazione del Partito comunista prima in Veneto, poi a Roma. Nel’45 ritorna a Bari e si occupa della riorganizzazione della sezione femminile provinciale. Nel giugno del ’45 Rita Majerotti sarà presente come delegata della sezione provinciale di Bari a quella I Conferenza nazionale delle donne comuniste, in cui verranno date le coordinate della politica femminile comunista per l’avvenire, sulle linee indicate da Togliatti per l’organizzazione del “partito nuovo”. In questi anni l’anziana militante avrà un’intensa attività pubblicistica nella stampa comunista e un costante impegno nel partito e nell’Udi, ma le restò precluso il suo inserimento nel gruppo dirigente femminile nazionale. Come sottolinea M. Antonietta Serci “La sua non fu una storia isolata, ma la storia collettiva di una generazione di comuniste. Rita Majerotti non fu la sola a subire, pur sotto altre forme, per motivi e in momenti diversi, questa sottile, impalpabile,quasi asettica emarginazione. E si trattava di donne – basti pensare alla Noce, alla Montagnana, alla Ravera – che avevano vissuto da protagoniste gli anni della clandestinità, che potevano presentare delle credenziali di tutto rispetto”.
La storia di Rita Majerotti, militante scomoda, meriterebbe dunque una complessa riflessione sul rapporto delle donne con il potere e sul ruolo che venne loro assegnato anche dalla sinistra, nel dopoguerra, nel processo di ricostruzione del Paese.

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