Il filo di Eloisa si unisce al ricordo di Bia Sarasini

Il 14 ottobre 2018 è venuta a mancare Bia Sarasini, figura storica del femminismo in Italia. Giornalista, saggista, per molti anni direttora di Noi donne, redattrice di Leggendaria e creatrice e direttore di Letterate Magazine, la rivista online della Società delle Letterate, di cui è stata anche presidente. Una pensatrice importante, una donna attiva e davvero preziosa e speciale che molti e molte hanno stimato e amato. Anche alcune di noi, anche Eloisa Manciati.

“Il filo di Eloisa – Associazione culturale Eloisa Manciati” si unisce al compianto di questi giorni e la ricorda, in particolare, con un pensiero di Elvira Federici, sua collega di redazione in Leggendaria, e con un articolo di Ornella Cioni, a suo tempo pubblicato su Orvietonews.it, dedicato al lungo approfondimento di Bia sul lavoro di cura.

“Anche a Bia devo l’essere diventata femminista – scrive Elvira Federici. – Nei primissimi anni 70, travolta dall’idea “generalista” di cambiare il mondo, militavo con molte e molti in un collettivo operai studenti. No, nessun femminile: proprio il maschile plurale neutro. Fu Bia, che conobbi attraverso Enzo, a mostrarmi che una politica solo neutra non avrebbe potuto essere davvero radicale. Poco tempo dopo a Viterbo, con le altre donne, avremmo costituito il collettivo femminista di Viterbo. Certo, le cose non sono così lineari e conseguenti; si tratta di processi in cui confluiscono tante esperienze, ma cosa dire dell’incontro con Eloisa, diversi anni dopo, che mi aiutò, ci aiutò, attraverso  indimenticabili occasioni di confronto (facevo la pendolare da Viterbo e non ne perdevo una), con il pensiero della differenza, a praticare un femminismo del simbolico, in una rete di relazioni politiche che, nonostante i cambiamenti epocali ancora è viva”.

Questo l’articolo di Ornella Cioni su Orvietonews.it, in occasione della presentazione a Umbrialibri 2011 de “La cura del vivere”, supplemento speciale al numero 89 della rivista Leggendaria che si deve a un lungo lavoro di Bia e al suo saper tessere relazioni. Un lavoro e un insieme testi che, oggi come allora, ci sembrano più che mai attuali.

“Uno degli appuntamenti centrali del pomeriggio di sabato 12 novembre 2011 ad Umbrialibri – scriveva Ornella Cioni – è stato l’incontro con Bia Sarasini e Annamaria Crispino che hanno presentato “La cura del vivere”, supplemento speciale al numero 89 della rivistaLeggendaria.
Bia Sarasini ha illustrato il percorso di riflessione, durato quasi un anno, del gruppo del mercoledì, un gruppo romano di nove donne, per lo più di età matura (o “nate prima”, come adesso sembra sia politicamente corretto dire), che si confronta e dialoga con donne “nate dopo” intorno al concetto di cura. È questo un concetto che viene da lontano, tanto che è stata fatta la scelta di mettere sulla copertina del fascicolo un’ immagine classica della Madonna con il bambino in un tipico gesto di protezione. Cura, parola amata e odiata, è stata ripresa e rinterrogata, sì perché della cura avevano parlato molto anche le donne degli anni Settanta per scoprire ed affermare che quello non doveva essere il loro unico destino. La riflessione sulla cura allora era stata necessariamente legata alla ricerca e alla scelta di un percorso di emancipazione e alla proposta di un sistema di welfare, con l’idea che la cura potesse essere monetizzata o esternalizzata.
Col tempo, al di là delle difficoltà nei percorsi di emancipazione e ai limiti di un welfare sempre debole in Italia e ora più che mai minacciato dalla crisi, ci si è rese conto che comunque emancipazione e welfare non esaurivano il bisogno di cura, che vi era comunque un “resto” che non poteva essere messo sul mercato. Ci si è chieste allora che cosa c’è di prezioso nella cura, che cosa può essere rovesciato in questo concetto. Il concetto di cura infatti può cambiare di segno e di senso se diamo per scontato che sia ormai caduta, in seguito alla ricerca di libertà delle donne, quella separazione tra spazio pubblico e spazio privato e se facciamo cessare quella separazione per cui la cura è qualcosa che avviene solo nella sfera separata del privato.
Se il primo femminismo degli anni Settanta non poteva analizzare la cura se non come subalternità, costrizione che non dava identità, da cui la necessità di allontanarsene e di guadagnare un lavoro, oggi c’è abbastanza forza per operare un rovesciamento in modo che la cura diventi l’asse su cui costruire le relazioni pubbliche; c’è la consapevolezza che nella conoscenza della cura c’è la possibilità di “salvare il mondo”, per usare un’espressione drammatica. La cura va allora assunta come paradigma, chiave dell’azione politica ed è una proposta rivolta sia agli uomini che alle donne. Cura è una parola dalle molte sfumature e che in un progetto politico si presta a molti interrogativi in ambiti diversi. In riferimento all’ambiente ci si può domandare infatti che cosa succede quando non c’è cura di un territorio. E non solo quando non c’è cura da parte di chi governa, ma non c’è cura, attenzione da parte dei cittadini.
Sui risvolti economici della cura poi ci si interroga dagli anni Settanta, per esempio con le proposte di salario al lavoro domestico. Si chiede da parte di analisi svolte da gruppi di donne quale sia il valore economico del lavoro domestico nel Pil degli stati. Alla cura sono legata inoltre figure nuove della nostra società, le badanti, lavoratrici sottopagate, spesso in nero e che costituiscono con il loro reddito fattore di cambiamento nei loro paesi, un pezzo di vita importante ma svalutato nel nostro e rappresentano un ultimo , contraddittorio residuo postcoloniale. La cura però può diventare anche un punto di forza, un efficace farmaco in un momento come questo in cui le vicende della politica ci hanno portati a un diffuso senso di impotenza.
Annamaria Crispino ha letto dal fascicolo un breve stralcio del testo di Eleonora Mineo, una giovane donna lavoratrice precaria, che sposandosi riscopre (dico riscopre perché questo tipo di analisi non era mancata negli anni Settanta-Ottanta) il piacere e il potere che può dare il lavoro di cura. Riflessione ampia e complessa, non priva di insidie , dunque quella sulla cura, ma Bia Sarasini, dopo un breve scambio con il pubblico, ha riaffermato l’ambizione di questo lavoro di fare della cura l’asse portante della politica, in un momento di grave crisi non solo della politica, ma della democrazia stessa. Le donne, sostiene, hanno accumulato energia e consapevolezza per vedere cosa succede se si porta il sentimento della cura nella vita pubblica, facendo saltare la contraddizione della doppia militanza in cui in passato si sono spesso dibattute e facendo finalmente della propria passione un elemento di visibilità. La cura è quell’atteggiamento che consente di tenere insieme interiorità ed esteriorità e che ha la forza di rimotivare le individualità con piena adesione al progetto politico, mentre spesso il “noi” del Novecento era un noi esterno cui la soggettività aderiva in modo non attivo. La scommessa è quella di introdurre, rispetto alla pratica del conflitto come pratica di presa del potere, una nuova pratica non violenta che porta dalla casa alla scena pubblica il senso di cura. Le forme del patriarcato stanno distruggendo la nostra vita, bisogna trovare altre forme, ha concluso Bia Sarasini, rivolgendo ai presenti l’invito a non perdersi di vista.

Invito quanto mai opportuno poiché la proposta è certamente interessante e merita di essere approfondita con la lettura del fascicolo e con un confronto di idee che le fornisca la forza e l’efficacia di camminare nel mondo. Certamente ci è sembrato meritevole il lavoro del gruppo del mercoledì e della rivista di ripensare, in uno scambio attivo con donne di generazioni diverse, una parte del proprio percorso culturale e politico cercando di dare ad esso nuova sostanza”.

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