Non solo la madre

di Ornella Cioni
da Se cammini piano. Storie di donne, Trieste, Vita Activa Edizioni, 2019
Concorso “Elca Ruzzier. Una donna da non dimenticare” 2018

La sognò elegante, quasi eccentrica come non era stata mai, fasciata in un sofisticato abito nero, portava alti stivali in pelle lucida con inserti colorati. Chissà perché, dopo tanti anni, questo tuffo notturno nel suo passato le restituiva di Marianna D. un’immagine di seduzione femminile aggressiva come non si vedeva negli anni Cinquanta, quando Elena, bambina di sette anni, l’aveva conosciuta.Marianna D. aveva viaggiato, si ispirava forse a un modello di donna francese, emancipata. I capelli castano scuro, corti con la frangetta; gonne, camicette, bluse piuttosto semplici, scarpe basse. Rina, la madre di Elena, era rimasta piuttosto delusa quando l’aveva conosciuta e non si spiegava, parlando con sua cognata sarta, come una donna che aveva studiato e aveva un lavoro ben retribuito << non si sapesse vestire>>. Pensavano agli abitini stretti in vita e con le gonne ben modellate sui fianchi o ai sobri tailleur che ammiravano su Burda e Chérie moda e che cercavano di imitare quelle rare volte che si potevano permettere un capo di abbigliamento.
A Rina era sempre piaciuto essere elegante e quando era giovane con la sua bicicletta, dalla cascina dove abitava nella prima campagna ai margini della città, si spingeva quasi in centro a Milano per comprarsi un vestito e soprattutto le scarpe, che non fossero uguali a quelle delle sue amiche.
Rina da giovane aveva fatto l’operaia alla Isotta Fraschini finché sua madre, che era rimasta vedova quando i tre figli erano bambini, era riuscita a vendere la casa e un po’ di terra al paese per poter prendere in gestione un ristorante. Nel locale Rina stava al bar e alla cassa, aveva imparato a servire gli aperitivi e gli alcolici e a trattare con i clienti. Col suo sorriso luminoso e il suo bel garbo riusciva a tenerli a bada, anche quando, con la guerra, erano arrivati i tedeschi, che qualche volta alzavano il gomito. Poi c’era stato quel colpo di fulmine, il suo bel ‘biscela’* dalla risata contagiosa e dall’eloquenza toscana.Un breve fidanzamento e il matrimonio a febbraio del ’45: si diceva che ormai la guerra stesse per finire.
Dopo il matrimonio arrivò presto una bambina. Luciano volle che si trasferissero nella sua città natale, Arezzo, dove c’erano i suoi fratelli e le sue amicizie, e anche il suo lavoro, diceva, che ne avrebbe tratto giovamento. In Toscana si riforniva direttamente presso buone manifatture di antica tradizione: lenzuola in cotone e in lino con l’orlo a giorno e i ricami a macchina, tovagliati stampati oppure, su richiesta, ricamati a mano. Luciano vendeva porta a porta e aveva una clientela affezionata, che convinceva col suo fare franco e la lingua sciolta. Le donne si lasciavano invogliare volentieri: c’era il corredo da fare alle figlie e poi si pagava a rate. Dopo alcuni anni riuscirono perfino a comprarsi un piccolo appartamento in periferia, ma i buoni guadagni invogliarono Luciano ad abbandonarsi sempre più alla sua passione: i cavalli e le scommesse.
La loro condizione economica divenne sempre più precaria; Luciano prometteva, ma tra promesse e bugie, ormai Rina non poteva più contare su entrate sicure. Avrebbe voluto ricominciare a lavorare, ma non era più giovanissima e le bambine da accudire adesso erano due. Fantasticava a volte di fare la parrucchiera: era brava da giovane a tagliare i capelli alle sue amiche. Ma poi vedeva troppi ostacoli o forse, chissà, si vergognava un po’ a rimettersi a lavorare dopo il matrimonio.
Fu un accordo fra donne, senza un contratto di lavoro.
Marianna D. era una ragazza madre. La solita storia della giovane che si innamora del suo pigmalione, sposato e con famiglia, le dà una figlia, però non può, non vuole lasciare la moglie.
Marianna D. ha un lavoro sicuro e ben retribuito, è in grado di mantenere sé stessa e la figlia. Ma sono gli anni Cinquanta e per il momento è meglio che dove lavora non si sappia della bambina; poi lei ha degli orari di lavoro irregolari e non si potrebbe occupare da sola della piccola. Meglio che per il momento stia in una piccola città come Arezzo, vicina ai nonni e agli zii, che la possono vedere spesso.
Un’amica comune la mette in contatto con Rina: si fida di lei, le sembra una donna sincera, di buon senso, che sa occuparsi bene della famiglia e sta allevando due bambine.
Per Rina significa poter continuare a restare in casa, allevare tre bambine invece di due e poter contare su un’entrata piccola ma sicura, che lei saprà far bastare ora che di Luciano non può più fidarsi.
È così che nella vita di Elena entrano Marianna D. e Stella, una bellissima neonata di quattro mesi, che lei accoglie volentieri anche se prova un fastidio quando i grandi, con la loro ipocrisia, le suggeriscono: <<È un’altra sorellina>>; e lei pensa: <<La mia sorellina è Daniela>>, ma vuole bene lo stesso alla bambina.
Chi la colpisce di più però è Marianna D., con quel suo modo di trattare alla pari i bambini, così diverso dagli altri adulti. Quando viene a trovare Stella porta spesso penne, matite, fogli e a lei in particolare regala un quaderno a quadretti con la spirale; un tipo di quaderno diverso da quelli con la copertina nera o con le città del mondo del suo cartolaio, e che le sembra degno di un uso speciale. Così, senza pensarci troppo, Elena inventa un personaggio e le sue strampalate avventure in rima. Viene elogiata molto da Marianna D. e perfino da suo padre. È la prima volta che non usa la scrittura per fare i compiti e questo le sembra una cosa bella, che può dare gioia a sé e agli altri, se l’hanno ascoltata con tanta ammirazione.
I giochi che fanno con Marianna D. sono diversi da quelli che Elena conosce. Anche le commedie, non sono come quelle che propone la sua amica Camilla, che ha già la televisione e vuole imitare Capitan Fracassa. Marianna D. propone linguaggi diversi, una lingua inventata, una specie di grammelot con cui inventare scenette facendosi capire e dovendo intuire a propria volta ciò che rispondono gli altri. Quando si gioca a cantare Marianna D. insegna a loro bambine languidi ritornelli in francese, o allegri ritmi spagnoli che accompagnano con improvvisati passi di flamenco. Diventano poi eleganti damine o cicisbei del Settecento quando giocano a danzare il minuetto, con una musica bellissima che Elena non ha mai sentito: il minuetto di Boccherini.
Elena disegnava volentieri per illustrare il compito di italiano e faceva le cornicette prima e dopo il compito di matematica. Poi faceva qualche disegno a suo gusto sul suo album di piccolo formato. Fu Marianna D. a dirle che era davvero brava e che disegnare poteva essere una cosa veramente importante. Quando aveva nove anni le diede da leggere una grossa biografia di Van Gogh ed Elena provò una forte identificazione con il pittore. Decise allora che sarebbe diventata una pittrice e da grande sarebbe andata in Francia e avrebbe vissuto una vita solo per l’arte. Cominciò, in modo seppur elementare ma chiaro, a formulare il pensiero che dentro di lei c’era qualcosa che non poteva essere contenuto, ingabbiato in un tran-tran quotidiano come quello che vedeva vivere alle persone intorno a sé, esclusa forse Marianna D., con quel suo lavoro nuovo e insolito, un mondo sconosciuto ai più alla fine degli anni Cinquanta: regista alla Rai.
Ammirava Marianna che conosceva tanti segreti della vita e, pensava Elena, anche strade di libertà di cui nessun altro le parlava. Qualche volta si chiedeva perché si interessasse tanto a lei, la facesse sentire importante, come quel giorno che la volle a tutti i costi portare con sé quando, convinta forse da qualche nuova amicizia, Marianna D. aveva deciso di rinnovare un po’ il suo guardaroba. Andarono insieme in una nuova boutique che avevano aperto in una via elegante del quartiere. Come se lei, una bambina, fosse la persona giusta per consigliarla. Elena sentì parlare per la prima volta di abiti da cocktail, ma quell’abito scuro con pallidi fiori che propose la commessa non le piacque. Approvò invece calorosamente un semplice chemisier di un fucsia squillante e con un’alta cintura. In realtà glieli vide indossare molto raramente quegli abiti così diversi dal suo stile abituale.
Elena la sentiva come una amica che le permetteva di entrare nella sua vita e avrebbe voluto avere un rapporto più confidenziale e darle del tu, come sempre Marianna D. le proponeva, se l’obbedienza all’idea antiquata di educazione della madre non glielo avesse proibito, ingessandola in uno scomodo rapporto più formale. La bambina non sapeva bene che rapporto ci fosse tra sua madre e Marianna D.. Una era una donna che era andata a scuola fino alla terza elementare, ma intelligente e ambiziosa, l’altra emancipata e colta, entrambe tuttavia erano ferite dall’amore. Certamente c’era una sorta di solidarietà tra loro, ma covavano anche una malcelata rivalità che trapelava velatamente nel rapporto con Stella.
Socialmente e culturalmente diverse, erano le due facce della maternità: la madre buona e la madre cattiva.Tutto ciò Elena lo intuiva, ma lo lasciava scorrere accanto a sé. Specialmente quando sua madre, dopo circa due anni dall’arrivo di Stella, decise che lei e le sue figlie si sarebbero di nuovo trasferite a Milano: là vivevano tutti i suoi parenti e poi presto il papà le avrebbe raggiunte. Elena visse questo spostamento come qualcosa di normale, anche se intuiva da brandelli di discorsi degli adulti che la situazione economica della famiglia era sempre più in crisi e forse chissà, questo però non lo sospettò mai, anche i rapporti fra i suoi genitori.
In realtà i cambiamenti furono notevoli. Marianna D. aveva proposto a Rina di andare a vivere insieme nella città in cui lavorava, che era anche la città di Rina. In un grande appartamento che Marianna D. aveva affittato Rina avrebbe potuto portare tutti i suoi mobili per arredarlo, mantenendo quindi sostanzialmente la sua casa; Marianna D. avrebbe tenuto per sé e Stella solo una stanza. Voleva che la bambina crescesse vicino a lei, quindi chiedeva a Rina di continuare a occuparsi della casa e della bambina, dietro il solito modesto compenso, mentre lei avrebbe continuato il suo lavoro e avrebbe provveduto all’affitto. Elena fu felice di poter vivere vicino a Marianna D., anche se percepiva un profondo senso di umiliazione quando qualche volta bisognava giustificare all’esterno i rapporti parentali nella famiglia. La mamma aveva suggerito che si parlasse di Marianna D. come di una zia, ma mentire fece qualche volta confondere Elena, di fronte alle domande indiscrete della maestra o di qualche altro adulto.
Era d’altra parte bello trascorrere molto tempo con Marianna D., sentire le sue storie, giocare con lei, ammirare i bei libri nella sua stanza e pensare che anche lei un giorno ne avrebbe avuti tanti. Un domani anche Elena sarebbe stata una donna sapiente e forte.
Una volta Daniela, che ormai frequentava le scuole superiori e per la quale iniziavano i primi amori, sentendosi piuttosto confusa e non avendo il coraggio di rivolgersi alla madre, chiese a Marianna D. di spiegarle come nascono i bambini. Marianna D., che nonostante la differenza d’età di cinque anni tra le due sorelle le trattava sostanzialmente alla pari, constatato che avevano idee distorte e un lessico inadeguato, orecchiato durante i giochi in cortile con i coetanei, impartì loro una lezione di educazione sessuale, associando all’idea di rapporto una sensazione di cui mai avevano sentito parlare, quella di piacere. Quando Marianna D. la informò dell’accaduto, Rina si infuriò perché si sentì defraudata nel suo ruolo di madre, in realtà non riuscì mai da parte sua ad affrontare questo argomento con le figlie.
Vissero insieme due anni ed Elena imparò da Marianna D. che il mondo era più grande di quanto aveva potuto recepire dalla sua famiglia e dalla scuola, e che in esso ci si poteva muovere con libertà, se si aveva il desiderio e il coraggio di scoprire le molte cose che ci sono da conoscere.
Poi Marianna D. annunciò che si sarebbe dovuta trasferire a Roma per lavoro, forse una promozione, in verità per inseguire il suo disperato e sfortunato amore. Rina non batté ciglio, del resto, anche se non aveva parlato per scaramanzia, sapeva già da tempo che Luciano, che in quei due anni era andato regolarmente a trovare lei e le figlie nei fine settimana, aveva avuto finalmente una buona occasione di lavoro: si trattava solo di trasferirsi a Roma. Il destino aveva voluto che le donne di quella insolita famiglia si separassero, ma non si perdessero di vista.
Marianna D. fu ingannata una seconda volta: il padre di Stella aveva promesso che avrebbe accolto la bambina nella sua famiglia, che l’avrebbe fatta accettare alla moglie e ai figli e Marianna D., purché Stella crescesse nella ricca famiglia del padre, era disposta a farsi da parte. Non avvenne nulla di tutto ciò; quando tutte e due si ritrovarono a Roma, Marianna D. chiese a Rina di continuare ad allevare Stella a casa sua, come aveva fatto ad Arezzo. Lei era incapace di organizzarsi una vita da sola con la bambina. Per Elena significava continuare a stare vicino a Stella, che ormai era diventata davvero una sorella per lei, poter spesso incontrare Marianna D. e godere della sua spinta vitale. Insieme ad esplorare la nuova città, insieme a visitare il Foro romano, i Musei vaticani e la Cappella Sistina, i cui magnifici affreschi Elena aveva potuto iniziare a conoscere attraverso le cartoline che quasi ogni giorno Marianna D. le aveva scritto durante l’estate, prima che lei arrivasse in città.
Marianna D. l’avviò a una lettura adulta con i suoi frequenti regali di libri e il suggerimento di titoli dei primi tascabili che uscivano in Italia.
I genitori di Elena la spronavano allo studio, ma come a un dovere da assolvere per poter un domani avere un lavoro sicuro e non conoscere la povertà. Marianna D. le insegnava la curiosità e l’amore per il conoscere, specialmente nelle sue forme artistiche e letterarie. Del resto Elena continuava a sognare di andare a Parigi da grande e fare la pittrice a Montmartre, ma << i pittori muoiono di fame>>, le obiettava la madre che, convinta anche da una nuova amicizia, dopo le scuole medie la voleva iscrivere a un istituto professionale.
Elena era confusa, provava a resistere, ma poi si rassegnava all’autorità materna. Quando nel corso di una telefonata lo comunicò a Marianna D., la sua reazione fu immediata, le spiegò che sì il liceo artistico era una bella scuola, ma lei aveva dimostrato di possedere anche altre importanti capacità e avrebbe dovuto fare un’altra scuola.
Marianna D. cambiò per sempre il corso della vita di Elena. Ella seppe con sempre più chiarezza col passare del tempo che sarebbe stata un’altra persona, che avrebbe avuto un’altra vita se Marianna quel giorno non fosse accorsa a casa sua dall’altra parte di Roma e non avesse trovato le parole per convincere Rina che Elena si doveva iscrivere al liceo classico, e che doveva essere il più antico e il migliore della città.
Ormai Stella non abitava più con loro e certo si diradarono le occasioni di stare insieme a Marianna D., ma le telefonate e le visite o gli incontri periodici non vennero mai meno. Elena sentiva la mancanza della sua guida, dell’incoraggiamento di una donna che la sostenesse nelle strade nuove che Marianna D. le aveva aperto, ma il segno che aveva lasciato era forte ed Elena seppe tener duro da sola. Seppe meritare e imporre fiducia sufficiente in lei perché i genitori acconsentissero agli studi all’università. Seppe trovare in sé il coraggio di perseguire un’idea di donna diversa.
Quando l’esperienza di impegno in gruppi politici misti mostrò i suoi limiti Elena incontrò i gruppi di donne del nascente femminismo. Certamente i due anni vissuti a Milano in quel piccolo gineceo con la madre, Marianna D., <<la sorella di sangue e quella d’amore>>, come scrisse in una sua poesia, furono alcune delle briciole di Pollicino che la portarono a condividere per tutta la vita la sua riflessione personale e politica insieme alle donne. Fu nei gruppi femministi che riuscì a portare alla coscienza, insieme alla gratitudine per la propria madre, la consapevolezza del ruolo di madre simbolica che Marianna D. aveva avuto nella sua vita. Fu quando scrisse in un gruppo di lavoro di donne: << Marianna D. quando ero bambina mi ha aperto il baratro dell’emotività e della creatività>>.

*In dialetto milanese indica persona con i capelli ricci.

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