Doppia solidarietà alle studentesse colpite dall’attentato di Brindisi

L’orribile attentato avvenuto a Brindisi, in cui è morta Melissa Bassi di 16 anni e altre sette studentesse sono state gravemente ferite, lascia davvero sgomente. Non appare forse casuale, mentre si sta indagando a vasto raggio su molte piste, che la bomba sia stata fatta esplodere davanti all’istituto scolastico femminile dedicato a Francesca Laura Morvillo Falcone, uccisa dalla mafia nella strage di Capaci di venti anni fa.

L’associazione “Il filo di Eloisa – Associazione culturale Eloisa Manciati”, particolarmente impegnata nei temi che concernono la differenza di genere, ma più in generale anche nel sociale e nel rispetto della legalità, esprime la sua solidarietà e la sua vicinanza alle famiglie, alle istituzioni e alle numerose forze generose e sane della comunità brindisina, colpita da un atto premeditato e spietato che, qualunque matrice abbia, non può che essere drasticamente e duramente condannato.

Come associazione femminile, desideriamo inoltre avanzare qualche elemento specifico di riflessione su questo crudele gesto. Come mettono in evidenza le donne dell’associazione delle “Città vicine”, che conta al suo interno un numeroso nucleo di donne colte, sensibili e socialmente attive del nostro Sud, tutto questo accade, quasi come un segnale, in un periodo in cui, nel meridione, tante donne, con modalità differenti, stanno con grande forza erodendo alla base la logica delle mafie. La nostra vuole essere, dunque, una doppia solidarietà: generica, per un atto barbaro che colpisce le istituzioni educative e la popolazione, espressamente “di genere” perché prende di mira, forse non a caso, un istituto femminile.

Come ha scritto Franca Fortunato, parlando della ‘Ndrangheta in un articolo pubblicato sulla rivista “Mezzocielo” nel maggio 2012 – la ‘Ndrangheta e non la Mezza Corona Unita, ma l’analisi è estensibile a ogni tipo di organizzazione mafiosa – la mafia “è sempre stata un fenomeno criminale costruito dagli uomini all’interno di un ordine sociale e simbolico patriarcale, fondato sulla famiglia e sulla subordinazione all’uomo della donna in quanto madre, sorella e figlia. Tale subordinazione è stata sempre il punto di forza dell’organizzazione… A un certo punto, una nuova minaccia, più potente, ed imprevista, si è abbattuta su di essa. Le tante donne, testimoni e collaboratrici di giustizia, che, in questi ultimi anni, hanno tolto agli uomini quello che le loro madri, per generazioni, avevano garantito: fedeltà e complicità, subordinazione e omertà, continuità e forza. Sono queste figlie che, con le loro scelte, oggi stanno erodendo la ‘ndrangheta fin dalle fondamenta, almeno quella che conosciamo fino ad ora… Sono loro la prima generazione di donne, nate e cresciute in famiglie mafiose, che con le loro scelte stanno trasformando in debolezza quello che (dentro la mafia) è sempre stato motivo di forza… Lasciano mariti che non amano più, collaborano con i magistrati, denunciano genitori, parenti, familiari, mettono in discussione l’autorità e l’identità dei maschi dentro e fuori la famiglia… E’ la libertà femminile che cammina nel mondo e che fa paura a tanti uomini, anche e ancora di più ai mafiosi. Il prezzo che queste donne stanno pagando, o rischiano di pagare, è alto, molto alto. Un prezzo doloroso, certo, ma non inutile. La misura delle loro scelte non è la quantità di arresti di mafiosi o la distruzione stessa della ‘ndrangheta, queste sono solo secondarie, vengono, se vengono, solo dopo il guadagno di consapevolezza della propria libertà, che queste madri stanno trasmettendo alle loro figlie”.

Una pista da non escludere, questa di un ammonimento “di genere”, su cui molte donne del Sud e non solo si stanno interrogando.

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